C’era una volta lo spogliatoio: la scena che indigna e sorprende i calciofili

Lo spogliatoio come luogo quasi “segreto”: un calciatore ha svelato una nuova abitudine che “taglia” definitivamente con il calcio di un tempo

Uno spogliatoio
C’era una volta lo spogliatoio: la scena che indigna e sorprende i calciofili – Camelio

I bambini lo imparano subito, non appena mettono piede in una scuola calcio. È l’allenatore in persona a spiegarlo, perché certe situazioni vanno apprese fin dai primi momenti. C’è un luogo sacro nel mondo del calcio, campo a parte ovviamente. Un luogo inviolabile, lì dove si nascondono i segreti più reconditi di una squadra, ciò che l’allenatore dice ai suoi calciatori.

Ci riferiamo, naturalmente, agli spogliatoi. Luoghi dove il tecnico prima, durante e dopo una partita di calcio impartisce indicazioni, rimproveri se necessario. Un posto dove possono volare anche gli stracci (e, chissà, se qualche litigio si è verificato). Un fortino che sembrava invalicabile, almeno fino a qualche anno fa.

Già, perché la logica del mercato, del marketing e di una “invadenza” quasi morbosa e senza ogni logica ha portato le telecamere anche lì, nell’unico luogo che sembrava all’apparenza inespugnabile. E così abbiamo scoperto i calciatori nei momenti più intimi, intenti a cambiarsi, anche post doccia seminudi o quasi.

Spogliatoio, che differenza con il passato: la foto che lascia senza parole

Una decisione che ha creato malumori, com’è logico che fosse, ma tant’è. Un segnale che il calcio è cambiato e ormai già da tempo. Negli spogliatoi, quei luoghi sacri ed inviolabili, dove ci si guardava in faccia l’uno con l’altro, ci si scrutava attraverso gli occhi, è cambiato anche questo.

Non solo le telecamere, ma l’avvento della tecnologia ha cambiato tutto. L’uso smodato degli smartphone ha cambiato anche le abitudini all’interno degli spogliatoi. E lo scatto del Pocho Lavezzi risalente addirittura al 2016 è davvero emblematico in questo senso.

Stavolta le telecamere dei broadcaster non c’entrano proprio nulla. Al termine di un 4-1 rifilato dall’Argentina al Venezuela, gara che aveva spalancato le porte della semifinale alla selezione Albiceleste, il Pocho Lavezzi immortalò una scena quasi surreale all’interno dello spogliatoio.

Nessun tipo di urla date dai festeggiamenti, niente salti né cori, tantomeno spumante gettato a destra e sinistra come accade in questi casi generalmente.

D’altronde, anche in epoche più recenti abbiamo assistito ad immagini di giubilo. Niente di tutto questo. Sette calciatori, uno accanto all’altro seduto ognuno al rispettivo posto, con la testa chinata sul cellulare a smanettare sullo smartphone. Nemmeno il ronzio di una mosca, nessuna felicità né gioia.

Un’immagine che non può non far riflettere: in un calcio sempre più tecnologico, lì dove le telecamere delle tv arrivano ovunque ed i cellulari la fanno da padrone, sembra si siano perse le care, vecchie abitudini, quelle spontanee di un contatto umano e fisico che non sembra più necessario. E che, invece, lo dovrebbe essere.

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